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domenica 30 novembre 2008

LA CURA


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Come vive ciascuno di voi il rapporto con “il medico”, non con il proprio medico, ma in generale con la figura del “medico”, di colui che si trova dall’altra parte nel momento della vostra malattia, o meglio, che si trova “di fronte” a voi in quel momento; voi come lo percepite? Come una persona che sta solo “dall’altra parte", oppure come una persona che si prende cura della vostra situazione?.
Perché oggi diventa difficile individuare le “falle” che esistono nel rapporto tra medico e paziente, perché spesso queste vengono “inglobate” nelle falle che esistono tra cittadino e istituzioni, tra paziente e Sistema Sanitario Nazionale.
Le pecche di un medico che fa male il suo lavoro devono venire a galla, ma quanti devono pagare per gli errori di “alcuni”? E, soprattutto, il clima di “caccia alle streghe” che spesso mettono su mass media e “distinti avvocati” che sfruttano la situazione per intraprendere cause, è giusto, o meglio, è giustificato?
E come vive il medico, oggi, il rapporto con il paziente?
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Da medico mi pongo il problema di cercare di “fare bene” anzi “fare del bene”, con tutti i miei limiti e le mie lacune, cercando di migliorarmi e di “NON NUOCERE”, fermandomi laddove non mi ritengo sufficientemente “preparato” per aiutare il mio paziente. E, spesso, mi sono reso conto che basta un sorriso in più, o una maggiore disponibilità ad essere “complici” del proprio paziente, per superare tanti preconcetti che la società di oggi non ci aiuta a superare.
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Ma è anche vero che ci sono persone che ormai si sentono “autorizzate” ad arrivare in ambulatorio e sbattere i pugni sulla scrivania, pretendendo non solo di curarsi da sole, ma di costringere il medico a prescrivere loro ciò che secondo loro stessi o qualche amico o parente a cui manca solo la laurea rappresenterebbe la panacea al loro male ed a quello dell’intera umanità.
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Di fronte alla vera sofferenza delle persone, non solo quella fisica, ma anche quella psicologica, che in alcuni casi è ancora più devastante, non voglio fare alcuna polemica, voglio dimenticare le giornaliere e inutili “diatribe” combattute dietro una scrivania o accanto ad un lettino da visita di un ambulatorio di medicina generale o di guardia medica…
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Prendo spunto da un articolo che ho letto su Mybestlife, in cui si parla, appunto, di rapporto medico/paziente, citando, all’inizio, una frase di Francis Peabody, uno dei fondatori della medicina moderna:
"Il significato della stretta relazione interpersonale tra medico e paziente non potrà mai essere troppo enfatizzato, in quanto da questo dipendono un numero infinito di diagnosi e di terapie. Una delle qualità essenziali del medico è l’interesse per l’uomo, in quanto il segreto della cura del paziente è averne cura". (Dr. Francis Peabody - XIX sec.)
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L’articolo continua: E’ difficile catalogare, descrivere dettagliatamente, porre "capisaldi", riguardo il rapporto medico-paziente in quanto questa relazione di fiducia e di stima "reciproca" dipende da molti fattori (fattori ben studiati dalla psicanalisi dove, ad esempio, la "relazione" viene denominata "transfert"), inerenti l’incontro tra le molteplici personalità sia di medici sia di pazienti. E’ possibile però, soprattutto per il medico, descrivere cosa predispone l’accadere di questa indispensabile "corrente energetica" finalizzata al miglior risultato possibile, del lavoro comune di medico e paziente, per il ripristino o il mantenimento della salute.
In primo luogo è importante per il medico saper ascoltare, saper farsi "recettore" di tutto ciò che un paziente "porta" e cioè come descrive il problema, quali vissuti emotivi ha di questo, quali sono le sue interpretazioni, che svantaggi ed anche, paradossalmente, vantaggi ne ricava, quali enfatizzazioni ha di un sintomo piuttosto che un altro, quali sono le sue paure, le sue speranze, le sue delusioni, quanto investe emotivamente sulla risoluzione della malattia, quale è la sua vita (origini, istruzione, lavoro, famiglia, ambiente domestico), insomma, quale è in definitiva il suo "terreno globale" emotivo - affettivo - corporeo - sociale in cui "vive" ed è "vissuta" la malattia.
In secondo luogo (praticamente in contemporanea con il primo) il medico deve saper essere "neutro", e cioè essere privo di pregiudizi nei confronti del paziente che magari presenta stili di vita, attitudini e valori diversi da lui, anche in quei casi che in situazioni non mediche potrebbe giudicare ripugnanti o negativi (qui il medico deve porre particolare attenzione al suo comportamento affinché la principale motivazione delle sue azioni rimanga comunque e sempre, l’interesse del paziente).
In terzo luogo il medico deve saper "comunicare" (attraverso disponibilità, espressione di attenzione sincera), spiegando cioè al paziente, con un linguaggio accessibile a tutti, come procederà l’iter diagnostico, chiarendo il significato di esami, consulenze specialistiche, indagini complesse strumentali, eccetera, e quindi, in seguito, quale è la definitiva diagnosi e la conseguente terapia, o possibilità terapeutica, con tutti gli eventuali rischi che questa può comportare, senza promettere facili guarigioni.

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Prendersi cura, quindi, significa innanzi tutto ascoltare coloro che si avvicinano a noi, non solo per capire il loro problema ma conoscere anche quali sono le loro paure e le loro aspettative. In questa fase di ascolto è importante un approccio privo di pregiudizi nei confronti di chi presenta stili di vita, attitudini e valori diversi dai nostri, per saper infine fornire risposte mostrando disponibilità e attenzione sincera al problema.
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Oggi, ci sono molti medici, molti di più di quanto si creda, che continuano a lavorare con scienza e coscienza, con etica professionale, e questo non va mai dimenticato, così come non bisogna dimenticare che vanno estirpate le “radici” malate.
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Concludendo, uno stato “sano” dovrebbe sempre saper distinguere tra ciò che “va estirpato” e ciò che va ”curato e incentivato” e dovrebbe saper trasmettere alla gente questa differenza. Una maggiore fiducia nelle istituzioni presuppone una maggiore ricerca e diffusione della “verità”, non quella che fa comodo a pochi, ma quella che prescinde dagli interessi personali.

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venerdì 21 novembre 2008

AVREI POTUTO...


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"Avrei potuto": non riusciremo mai a comprendere il significato di questa frase. Perché in ogni momento della nostra vita ci sono cose che sarebbero potute accadere, ma che alla fine non sono avvenute. Ci sono istanti magici che passano inosservati quando, all'improvviso, la mano del destino muta il nostro universo.

Paulo Coelho
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martedì 11 novembre 2008

HAKA MAORI

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La HAKA è una danza che esprime il sentimento interiore di chi la esegue, e può avere molteplici significati. Non si tratta solo di una danza di guerra o intimidatoria, come è spesso erroneamente considerata, ma può voler anche essere una manifestazione di gioia, di dolore, una via di espressione libera che lascia a chi la esegue momenti di libertà nei movimenti...
Espressione degli antichi guerrieri MAORI, popolo della Nuova Zelanda... nell'ascoltarla trasmette una grande "carica"...
Magari da domani prima di cominciare la giornata mi fermo un attimo e, prima di varcare la soglia del lavoro, comincio ad intonarla ed a mimarla...
Se non leggerete più post su questo blog... vorrà dire che l'avrò fatto... con conseguente "trattamento sanitario obbligatorio" e ricovero in Psichiatria...

mercoledì 5 novembre 2008

1^ LEZIONE (first lesson): CONIUGARE I VERBI (conjugate verbs)


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martedì 4 novembre 2008

FACCIAMO CHIAREZZA UNA VOLTA PER TUTTE...

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Elezioni americane, crisi economica, deliri di onnipotenza, e deliri di decadenza…. Oggi mi fermo, voglio fare una riflessione chiara e trasparente… Scusatemi, se sarò troppo crudo nelle mie affermazioni, ma oggi, più che mai, il mio pensiero è quello di chi si chiede se la SBILIGUDA, E LA SUPERCAZZOLA PREMATURATA CON SCAPPELLAMENTO È A DESTRA O A SINISTRA, COME SE FOSSE ANTANI… E SE UNA SERATA, CHE POI È IL TEMPO DI UNA QUINTANA, OSSETTA, SARÀ SUFFICIENTE… SOLTANTO POCHE ORE PER DECIDERE SCRIBAI CON COFANDINA CHE PREMATURA ANCHE.
SARÀ POSSIBILE? POSTERDATI, PER DUE… E SE POI NON VA BENE? IN QUEL CASO TARAPIA TAPIOCA, RESTANDO OSTANTINATO A MALLITI…

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Non so se sono stato chiaro…

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sabato 1 novembre 2008

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STABILITA' PRECARIA O PRECARIETA' STABILE?

Nella precarietà che caratterizza la mia situazione lavorativa da un bel po’ di anni, mi devo ritenere un “fortunato”.
La necessità di ritagliarmi più “spazi lavorativi” necessari per “campare” e allo stesso tempo per sentirmi “appagato” nel mio bisogno di gratificazione professionale e umana, mi ha permesso di vivere "situazioni" e "confronti" che altrimenti non avrei mai potuto vivere….
Umanità varia, situazioni differenti, persone differenti, prospettive differenti. Seguendo il consiglio di chi molti anni fa mi disse: "l’importante è lavorare… fai tutto ciò per cui senti in te un minimo di predisposizione, non fossilizzarti su un’IDEA….dopo, vedrai, le scelte verranno più facili, e la tua strada la vedrai più chiara, sempre di più…", ho intrapreso più strade… per necessità, che dopo si è trasformata in “costruzione” di un percorso…. Grazie Francesco…
Anche oggi un’altra notte passata al lavoro… tra una telefonata ed una visita, tra una medicazione ed una prescrizione… ma insieme a persone che ormai sono parte della mia vita (e per fortuna qui non c’è la collega rompicoglioni e arrivista)…. A persone che, nella maggior parte dei casi, non si mettono in competizione… perché in certe situazioni è importante fare gruppo….
Nell’immenso scenario di ipocrisia e di presa per il culo che caratterizza l’essere umano e che sembra concentrarsi negli ambienti di lavoro, soprattutto quelli più “sedentari” (si pensa che il fattore scatenante sia l’assenza di ossigeno che si crea in conseguenza della mancanza di movimento e della fusione dei glutei con la superficie della sedia o della mano con la cornetta del telefono), dicevo in questo immenso scenario caratterizzato dai più “alti valori umani”, con molte persone riesci ancora ad instaurare un rapporto che diventa un rapporto di amicizia, di confidenza, di condivisione…. persone (poche, ma buone) con cui ti accorgi di non condividere solo il tuo lavoro, ma anche tutto ciò che inevitabilmente viene fuori passandoci insieme dodici ore di fila... con cui hai condiviso per anni il Natale, le festività varie, il ferragosto, e tanto altro, con cui hai condiviso gioie, progetti, dispiaceri, ansie …
Qui ho incontrato persone che OGGI fanno il tifo per me… per il mio “OBIETTIVO”… che forse mi darà una maggiore “stabilità” lavorativa… portandomi definitivamente da un’altra parte, mi darà una responsabilità differente, mi darà tanto di cui sono già da ora grato, ma mi toglierà anche una parte della “vitalità” che mi trasmette ciò che “ADESSO” faccio da “precario”… ma una cosa è certa, non potrà togliermi l’affetto ed il legame con chi resterà AMICO… al di là di tutto…

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