.Quando ci rapportiamo ad un’altra persona, ci possiamo sentire “in sintonia”, oppure avvertire uno strano senso di “disagio”, “distacco” e “diffidenza”.
Possiamo attribuire le sensazioni “positive” a una naturale “predisposizione” e “empatia”, e quelle negative ad una naturale “antipatia”.
Sembrerebbe che, in realtà, nei rapporti umani molto sia affidato alla cosiddetta “COMUNICAZIONE NON VERBALE”, cioè quella legata a tutto ciò che prescinde dall’espressione dei concetti con “parole” (gesti, espressioni del viso, postura del corpo, tono della voce, etc.). Sarebbero proprio questi “messaggi” a determinare le nostre reazioni e il nostro grado di coinvolgimento in quella “relazione”. Diversi studi hanno dimostrato che di tutte le informazioni che ci si scambia durante un discorso un buon 50-60% è rapportabile al tono della voce ed al linguaggio del corpo.
La comunicazione non verbale può “avvalorare” determinate manifestazioni ed affermazioni verbali oppure “demolirle”. Se, ad esempio, un nostro collega di lavoro, in un momento particolarmente “negativo” per noi, ci si avvicina e ci esprime “a parole” tutto il suo dispiacere per le nostre difficoltà, ma col corpo manifesta “espressioni” che non coincidono con quanto sta affermando, noi inconsciamente percepiremo questo “conflitto”.
In pratica se esprimiamo a parole qualcosa in cui non crediamo realmente, la cosa, anche se inconsciamente, verrà manifestata e, quindi, percepita.
Chiaramente, un approccio equilibrato a questo “aspetto” della comunicazione presuppone che non si possa valutare adeguatamente una persona “esclusivamente” da un singolo gesto. E’ come quando diciamo che una parola può non avere alcun senso se “estrapolata” rispetto ad un intero discorso; allo stesso modo un singolo gesto non è sufficiente a “etichettare” una persona.
Qui parliamo di un approccio nel quale è inutile improvvisarsi “esperti”, perché ci sono relazioni tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale che sfuggono anche ai cosiddetti “addetti ai lavori”. In questo “disquisire” si vuole solo affrontare dal punto di vista generale un aspetto dell’espressività umana, “curiosando” sull’argomento.
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Possiamo considerare alcuni elementi utili a comprendere meglio il significato e le manifestazioni quotidiane del “linguaggio non verbale”:
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Tra le ESPRESSIONI DEL VOLTO ce ne sono alcune (ad es. quelle che esprimono gioia, rabbia, tristezza, sorpresa, paura, vergogna, repulsione, disprezzo) che sono innate, e sono comuni alla maggior parte degli esseri umani (non variano da individuo a individuo, né tra razze diverse). Altri gesti, invece, vengono acquisiti, cioè li impariamo “imitandoli”.
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La “predisposizione” di una persona ad “avvicinarsi” ad un’altra può essere misurata anche attraverso l’osservazione del cosiddetto “EFFETTO SPECCHIO” o, come dicono gli anglosassoni “MIRRORING”. Non è altro che l’inconscia propensione a “specchiarsi l’una nell’altra” che si instaura tra due persone che si piacciono. In pratica se una persona vuole “avvicinarsi” a noi, farà “eco” ai nostri gesti (io mi gratto il naso lei/lui si gratta il naso, io mi passo la mano tra i capelli, lei/lui si passa la mano tra i capelli). Però attenzione, se subito dopo aver fatto da “specchio” ai nostri gesti si allontana (as es. se siamo su un divano si tira indietro rispetto a noi, o se siamo su due sedie, allontana la sua sedia rispetto alla nostra) vuol dire non è interessata/o a noi.
Questo vale sia quando parliamo di “attrazione fisica” e “coinvolgimento sentimentale” cioè allorquando si instaura il “gioco della seduzione”, che in situazioni in cui si può parlare solo di rapporti di amicizia o di lavoro.
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Una situazione in cui si scatena un conflitto tangibile alla percezione dell’”osservatore” è quella rappresentata dalla “BUGIA”. Durante il “racconto” di una bugia una persona può “MENTIRE verbalmente” ma con grande difficoltà riesce a farlo con il linguaggio “non verbale”. Lo stress che si libera in tale frangente si trasforma spesso in gesti insicuri, e piccoli segnali incontrollabili (inarcare il sopracciglio, arrossire, sudare, eseguire movimenti nervosi con le dita e con le mani, etc.) che “comunicano” all'osservatore il “conflitto” in atto. In tutto questo pensiamo al fatto che ci sono persone che, per lavoro e, quindi, per necessità imposta, devono imparare a “mentire”. Basti pensare a politici, attori, rappresentanti, venditori. In tal caso la persona educa il proprio corpo a trasmettere ed utilizzare in un certo modo il suo “linguaggio”.
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Sembrerebbe, poi, che le cose cambino a seconda della posizione sociale e dell’età delle persone. Con l’acquisizione di una posizione di POTERE e con l’avanzare dell’ETA' la gestualità tenderebbe all’”essenziale”. In pratica maggiore è il potere o l’età più “limitati” e “misurati” saranno i gesti. Meno potere o minore età invece, andrebbero di pari passo con una maggiore “espressività” del corpo.
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Altro elemento condizionante il linguaggio non verbale è la “CONDIZIONE FISICA” della persona, e la sua “PERCEZIONE DI SE STESSO”. Quando stiamo bene con noi stessi, tutto il nostro corpo è fisiologicamente predisposto a inviare agli altri segnali positivi, di “apertura”.
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Anche la nostra PERSONALITA' può porre limiti e condizionare l’espressività del nostro corpo. Pensiamo alle persone timide che, spesso, vengono giudicate per ciò che realmente NON SONO, proprio a causa dei segnali di “chiusura” che, a causa della loro TIMIDEZZA, mandano agli altri. Esiste anche una forma di timidezza, definita “cronica”, che poco ha a che fare con la timidezza come tratto “caratteriale”. La timidezza cronica può portare la persona ad isolarsi dal resto della società… e spesso si associa a gravi forme di depressione e di fobia.
Spesso le persone timide sono persone molto “sensibili”, ma i loro atteggiamenti, quali l’evitare di esporsi in pubblico o in un “gruppo” di persone, la difficoltà di esprimere la propria opinione davanti agli altri, la difficoltà di sostenere a lungo un contatto “visivo” con gli altri, il parlare con voce sommessa e in modo frettoloso, il mantenersi a “distanza”, sono tutti “gesti” che possono essere fraintesi e interpretati come sintomi di “superbia” e “disprezzo”. La persona timida che viene etichettata come “asociale” o “antipatica”, percependo questo “giudizio” da parte degli altri, tenderà ad isolarsi ulteriormente.
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Insomma, se ci soffermiamo a pensare a quanto possiamo dire e quanto possiamo “percepire” dagli altri attraverso il linguaggio del corpo, potremmo trarne vantaggio, non tanto per “smascherare” i bugiardi cronici, o i falsi “adulatori” o i “lupi travestiti da agnello”, ma più che altro, per comprendere e migliorare situazioni che, ingiustamente, possono limitare ciascuno di noi nei rapporti umani, e anche nella “percezione di se stessi”…
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Naturalmente, senza prendere tutto troppo sul serio, ma applicando quel pizzico di ironia che ci permette di dare ad ogni cosa il giusto peso…
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